To wrap letteralmente -potrei sbagliarmi, ma che sbatti controllare quindi, com’è uso sull’internet, diamolo per certo- significa avviluppare.
Il che mi fa pensare:
Sembra che dal 26, se mai saremo daavvero in zona gialla, si potrà tornare a fare quelle cose che sognamo da mesi.
E’ talmente strano che non so se sperarci.
Citano le cronache che il Wrap dress sia un’invenzione abbastanza recente di Diane Von Fustemberg. Ma dimmi te.
Prima, quindi, i pepli, i sari, le lenzuola ce le si drappeggiata addosso senza la preoccupazione che “facessero fagotto”. MA-DIMMI-TE.
Comunque… ci sono tredicimiliardi di tutorial su come fare un wrap dress e non sento il bisogno di aggiungere l’ennesimo.
Semplicemente posso dire che io preferisco farli in tessuti un pochino elastici, per “tirarli meglio” addosso. Essendo piattissima, altrimenti, il pezzo sopra ad una certa diventa too much revealing e non è che ci tenga particolarmente a mostrare le mie (poche) grazie al mondo.
Questa cosa che sto leggendo un botto di robe ma principalmente tecniche mi castra un pochetto.
Quindi parlerò del mio grande, infinito, sconfinato, illimitato amore per Alessandro Barbero: ho cominciato ieri “Le Ateniesi” (che è vecchio come il cucco, lo so, ma io non l’avevo mai letto).
Un racconto che parla di gender gap in salsa attica e ci ricorda come violenze, cat calling, disparità di trattamento tra uomini e donne siano sempre esistiti.
Un testo affatto tecnico: è un romanzo a suo modo “leggero” (che tratta di un tema tristemente d’attualità con una scrittura scorrevole, senza le pretese di essere un capolavoro).
Ci sta, per rilassarsi dall’economia politica e dalla psicologia della percezione 🙂
Qualcuno sa perchè (altro che Toblerone).